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“L’architettura, affermava Ludwig Mies van der Rohe, non è la realizzazione di determinati problemi formali, quale che sia l’ampiezza del loro contenuto. E’ sempre, lo ripeto, l’esecuzione spaziale di decisioni spirituali”.
È fuori dubbio che una simile affermazione ha una potenza concettuale che trasporta l’architettura oltre le norme. Essa propone il coinvolgimento spirituale dell’architetto, del suo io più profondo, nella prassi tecnica. La nostra attività professionale ha in questi anni sperimentato questo atteggiamento nella maggior parte dei progetti qui proposti. Mi piace pensare che l’architettura sia di fatto una prassi della spiritualità intesa come ascolto e ricerca del senso profondo dell’azione umana. Per questo motivo l’architettura si definisce per lo scopo “umano” a cui si rivolge e non per la funzione specifica. In questa visione abbiamo articolato questa sezione che presenta i progetti in categorie di scopo: il lavoro, l’abitare, la convivialità, la memoria e la collettività.
“La città va pensata come il custode di un tesoro di spazi” ecco come proponeva il progetto urbano Louis Kahn nel 1969. L’architettura per la città è una importante opportunità.
Per molti anni, molti hanno immaginato lo sviluppo urbano come il risultato di proiezioni demografiche e necessità funzionali affidando il disegno urbano a norme tecniche d’attuazione fotocopiate. Già nel 1938, Alvar Aalto, affermava che “regole e standard urbanistici stabiliscono oggi l’altezza degli edifici, l’estensione volumetrica, la localizzazione e spesso anche la forma stessa, deviando dal loro compito originario: invece di stimolare il progresso, ne sono un ostacolo”.
È evidente che raccogliere questa sfida significa pensare l’architettura sempre come generatrice di spazi o meglio come svelamento delle potenzialità formali, economiche e di senso dello spazio esistente.
Il regista tedesco Wim Wenders, non addetto ai lavori, ma profondo conoscitore dell’ambiente urbano, ha detto in relazione allo spazio esistente che “se perderemo la nostra memoria della città, i luoghi che ce la fanno scoprire, smarriremo anche la nostra capacità di orientarci, cadremo vittime delle grandi dimensioni, di ciò che è inafferrabile, onnipotente”. Ecco svelato il senso profondo della città: orientarsi. Ogni cultura ha sviluppato le città proprio a partire da questa regola.
Il lavoro svolto in questi anni nasce proprio da questa consapevolezza, misurandosi con due temi particolari: i frammenti urbani e i parchi urbani e del territorio. Per frammenti urbani intendiamo quegli spazi (vuoti) che hanno perso la loro funzione originaria e che chiedono di essere rigenerati nel senso, nella forma e nella funzione. L’esperienza di progettazione dei parchi è da intendersi, invece, come riappropriazione da parte della collettività dei segni e delle tracce di un luogo. Wim Wenders ricordava che “il restauro è un esercizio di equilibrio, come camminare sulla fune, alla minima esagerazione è il disastro”. Emblematico è il parco archeologico di Posillipo, espropriato e realizzato pezzo per pezzo in quasi dieci anni di attività dello studio e che oggi è uno dei luoghi simbolo della bellezza e della storia della nostra città.
Vorrei concludere ancora con Wim Wenders: “oggi non si fondano più le città, possiamo solo aggiungere delle cose, delle costruzioni, degli edifici, dei quartieri, però sicuramente la responsabilità rimane ancora ai singoli edifici che vengono costruiti. Ogni luogo che viene costruito ancora oggi, riguarda la vita e la morte delle persone che ci si trovano. Da quel luogo le persone faranno partire la loro esperienza. I luoghi di cui si occupano gli architetti fanno molto di più per le persone di quanto non facciano i cineasti, di quanto non facciano i film. Poiché in realtà sono gli edifici i luoghi in cui le persone vivono la loro vita reale, invece i film possono solo rappresentare questo, possono solo riprenderlo; ma i film, esattamente come gli edifici, costituiscono la nuova base, il terreno su cui le nuove generazioni, i bambini costruiranno la loro conoscenza. Forse la cosa più importante che gli architetti e i registi hanno in comune è questo: il fatto che ogni storia parla di luoghi, di vita e di morte così come l’architettura.”
Gianni morra
L’architettura è scaduta ad arte grafica per colpa degli architetti. Non colui che sa costruire meglio riceve il maggior numero di commissioni, ma chi sa presentare meglio i suoi lavori sulla carta. E questi due tipi stanno agli antipodi. (Adolf Loos, 1910)
Ludovico Quaroni nel 1947 dichiarava che “l’architettura si conquista. Bisogna arrivare davanti a lei con quella determinata fatica, per sentirla, sensibilizzati già da un certo ambiente di preparazione, in quella tale luce, in quella tale aria, in quelle tali dimensioni”.
L’ambito in cui ho deciso di prepararmi ad affrontare l’architettura di mestiere è il concorso di progettazione. Con il gruppo di lavoro denominato MM2D , costituito insieme a Pietro delle Donne e Daniele Manzi, ho nei primi anni della professione partecipato a numerosi concorsi, anche con importanti riconoscimenti: uno tra tutti la segnalazione al concorso EUROPAN 4. La partecipazione ai concorsi è stata poi una costante dell’attività dello studio, rappresentando sempre un momento di confronto e di elaborazioni di nuove strategie progettuali poi trasmigrate nell’attività professionale.
Arch. Giovanni Morra
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